Una festa per il compleanno di nostro figlio
Quali le possibilità educative di questi riti
«Con Voi genitori, che avete chiesto le strutture della comunità cristiana per la festa del vostro bambino, vorremmo riflettere sulla valenza educativa di questi riti familiari, che dicono al fanciullo molto di più di quanto pensiamo…».
Così inizia un semplice pieghevole fotocopiato, che viene consegnato ai genitori in una parrocchia della diocesi nel momento in cui richiedono la sala dell’Oratorio per il compleanno del figlio.
La ricerca della “festa” per il compleanno dei piccoli è un fenomeno crescente anche nella nostra società. Da una semplice inchiesta svolta dall’Ufficio Catechistico Diocesano per l’anno 2009, nella nostra diocesi sono state contate in 38 parrocchie oltre un migliaio di feste di compleanno celebrate nei locali parrocchiali, per l’esattezza 1166, con un turn-over di quasi 30.000 persone. Se completassimo l’indagine, il numero dovrebbe sicuramente essere ridimensionato sulle 90 parrocchie attive in diocesi. Un fenomeno di massa, insomma, ancor più rilevante se aggiungiamo le feste di compleanno pagate in pizzeria o nei locali specializzati dai più o meno contenti genitori.
Questo fenomeno richiede l’attenzione pastorale delle comunità cristiane e – in primis – dei catechisti. Anche perché molte delle parrocchie che concedono l’oratorio per le feste private non riescono ordinariamente a proporre attività di oratorio. Quasi a dire: il mercato (o il privato) sta occupando silenziosamente i nostri ambienti, spesso concessi a fronte di irrisorie offerte in denaro che neppure riescono a pagare le spese vive delle strutture. Al contrario, i regali che il bambino riceve sono molti e spesso impegnativi, creando anche imbarazzo nei genitori che si sentono in dovere di “ricambiare” a loro volta.
Per chiudere la sinteticissima descrizione del fenomeno, spesso i genitori chiedono a degli “esperti” di animare le feste “laiche” dei loro figli, come ricordava a Cervignano nel mese di giugno scorso lo psicologo Albino Pavlic durante il Convegno Catechisti. Quasi a dire: più feste facciamo fare, meno sanno fare festa i nostri figli?
Il senso della festa
La festa è un fenomeno estremamente complesso ed universale. Essa è rilevabile in tutte le culture e popoli: qualcuno addirittura dice che l’uomo è fatto piuttosto per la festa che per il lavoro.
Nella festa l’uomo si distende, si diverte e percepisce la propria dimensione esistenziale profonda: egli torna in qualche modo alle radici profonde del proprio essere. La festa lascia intravedere la pienezza della vita che ci attende, nella gioia e nella relazione con gli altri, una specie di Terra Promessa per la quale siamo stati creati.
La festa primordiale, però, per noi cristiani resta la domenica, che segna il ritmo anche della vita civile. Il suo valore pedagogico è immenso e varrebbe la pena di rifletterci più profondamente che in queste poche righe.
La festa e il bambino
La festa poi parla in maniera speciale al bambino, perché egli è fatto per la gioia di cui la festa è portatrice. La festa è per lui un evento di singolare importanza, sia nell’anticipo della preparazione che nel ricordo a celebrazione avvenuta; per lui – sottratto agli obblighi del lavoro a differenza dell’adulto – essa rappresenta una condizione quasi “naturale” e perciò parlante in modo speciale. La festa è portatrice di un linguaggio che plasma nel profondo la concezione di sé, della relazione con gli altri e del mondo. Come tutti i comportamenti rituali, essa dà forma e indica il senso della vita in qualcosa di più grande di se stessi, specialmente nelle coscienze dei piccoli che stanno formandosi le strutture fondamentali della personalità.
Un vero disastro, allora, queste feste di compleanno, se fanno gonfiare ulteriormente delle personalità già di per sé narcisistiche, sempre e comunque al centro dell’attenzione, dove gli altri alla fine si riducono a banali “portatori di doni”. Utili queste “feste”, invece, se vengono trasformate in “giorno del grazie”, dove i fanciulli vengono educati ad essere riconoscenti, a “rendere grazie” (o “eucharistein”, potremmo suggerire nel nostro gergo…) verso chi ha loro donato la vita, dai genitori al Padre datore di ogni dono e che sta nei cieli, e coinvolgere in questo i loro cari e amici.
Se rimane solo la festa di compleanno…
In un contesto sociale scristianizzato con una frequenza domenicale delle giovani famiglie non molto alta, per moltissimi bambini il compleanno resta l’unica festa dell’anno celebrata in maniera solenne, con “concorso di persone” e soprattutto ritualmente caratterizzata.
Sono infatti fortemente ritualizzati i comportamenti nelle feste di compleanno: dapprima l’accoglienza degli ospiti, poi il gioco, una volta tanto senza troppe regole o limiti di orario; ecco poi il momento della ricezione e dell’apertura dei regali, il taglio e condivisione della torta, il tutto condito dal clima di familiarità, di libertà e di simpatico “eccesso” nel quale si svolge l’evento.
Se il bambino esperimenta che questa è l’unica celebrazione in cui si mobilita in maniera importante la propria famiglia e le altre persone amiche, egli si convincerà che il contenuto di questa piccola celebrazione è davvero importante.
E se questa celebrazione ha come unico contenuto se stesso e le innumerevoli cose che riceve in dono, come sentirà la propria esistenza? Ci potremmo domandare se questo agire non rinforzi nel bambino un’autocomprensione enfatizzata di sé e delle proprie esigenze: una “religione dell’io”, insomma, che mal si combinerà con altre “religioni”: quella—per così dire—della famiglia, sicuramente quella del cristianesimo. Per questo è sempre più importante non solo organizzare ma anche “accompagnare” le feste di compleanno dei fanciulli.
Il meglio per nostro figlio
Queste considerazioni non mirano evidentemente a interdire le feste di compleanno, quanto piuttosto a spingere gli adulti ad una riflessione sulle possibilità educative nascoste negli eventi familiari e sociali. Per questo motivo per i genitori è estremamente importante non soltanto chiedere se la sala parrocchiale è libera e quanto tempo prima bisogna prenotarla, ma porsi delle domande ulteriori, di carattere educativo.
– Ad esempio, perché non pensare a delle feste in cui il bambino è aiutato ad esprimere (anche verbalmente) riconoscenza per la vita ricevuta e per la famiglia in cui è nato, e non soltanto per le cose ricevute?
– Oppure, come aiutarlo a riconoscere nel dono della vita, celebrato nel compleanno, il mistero che ci avvolge?
– Come approfittare della festa per far crescere il dialogo in famiglia?
– Come poter educare il piccolo a vivere la festa in modo generoso, cioè insegnandogli a impegnarsi anche per la festa degli altri e non solo ad attendere la propria, con il carico di cose (sempre utili o necessarie?…) che essa gli porta?
Alcune idee per i genitori (e non solo…)
Sarebbe facile e commovente introdurre per esempio il “momento del grazie”, in cui festeggiato e genitori si scambiano motivi di riconoscenza reciproca attraverso delle brevi parole o – per i più piccoli – attraverso un disegno.
Inoltre potrebbe aiutare il fanciullo ad allargare il suo cuore il suggerire alle affannate mamme degli invitati una linea di condotta nell’acquisto dei regali, magari mettendo insieme due euro ciascuno, metà dei quali destinati per un piccolo dono in comune al festeggiato (un bel libro illustrato, per esempio) e l’altra metà al Centro Missionario o alla Caritas per ricordarsi dei bambini meno fortunati e così via. In questo modo si compirebbe una potente educazione alla sobrietà e al valore delle cose, che oggi proprio non stona. Potremmo domandarci, infatti, quanto vale alla fine per il bambino un regalo, se nello stesso giorno ne riceve dieci o quindici: praticamente nulla, umiliando così anche chi l’ha fatto magari con sacrificio.
Perché poi non scegliere un breve momento durante la festa e chiedere al sacerdote una semplice benedizione del festeggiato? E magari farsi insegnare un modo semplice per benedire il proprio bambino?
don Sinuhe Marotta