L’Ufficio Catechistico Nazionale in udienza dal Papa

Lettera di Papa Francesco ai catechisti (30/01/2021)

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«Sono contento di condividere con voi il ricordo del 60° anniversario della nascita dell’Ufficio Catechistico Nazionale. Istituito ancora prima della configurazione della Conferenza episcopale, esso è stato strumento indispensabile per il rinnovamento catechetico dopo il Concilio Vaticano II». Sono le parole con il quale il Papa ha ricevuto sabato 30 gennaio i partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana.

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Rivolgendosi ai presenti Papa Francesco ha voluto condividere tre punti che possano aiutare l’UCN nel servizio dei prossimi anni: catechesi e kerygma, catechesi e futuro, catechesi e comunità.

Per quanto riguarda il primo punto, il Pontefice, ricordando il 50° anniversario del Documento Base, ha ribadito che la catechesi è «l’eco della Parola di Dio […] l’onda lunga della Parola di Dio per trasmettere nella vita la gioia del Vangelo»; prende per mano e accompagna nella storia della salvezza; è «un percorso mistagogico» in continuo dialogo con la liturgia. «Il cuore del mistero è il kerygma, e il kerygma è una persona: Gesù Cristo. La catechesi è uno spazio privilegiato per favorire l’incontro personale con Lui. Perciò va intessuta di relazioni personali». A questo punto, proseguendo a braccio, il Pontefice ha ricordato il bene che gli ha fatto la suora che lo ha preparato alla prima Comunione. Questa come tanti altri sono «i primi protagonisti della catechesi […], messaggeri del Vangelo, spesso laici, che si mettono in gioco con generosità per condividere la bellezza di aver incontrato Gesù». I catechisti, allora, custodiscono e alimentano la memoria di Dio per risvegliarla in quanti incontrano. Tuttavia, citando l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 165), Francesco sostiene che per avere una buona catechesi servono alcune caratteristiche: «che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e […], che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà […], che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni […]: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna». Allora, «la vera fede – ha quindi aggiunto ancora fuori testo – va trasmessa “in dialetto” [… con il] dialetto della vicinanza […] cioè quella lingua che viene dal cuore, che è nata, che è proprio la più familiare, la più vicina a tutti».

Per quanto riguarda il secondo punto – catechesi e futuro -, Francesco ha sottolineato come la CEI recepiva, attraverso il Documento Base, le indicazioni del Concilio. «Questo – ha insistito a braccio – è magistero: il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa. […] Il Concilio non va negoziato, per avere più di questi… No, il Concilio è così. […] – aggiungendo- Per favore, nessuna concessione a coloro che cercano di presentare una catechesi che non sia concorde al magistero della Chiesa». Il Papa ha, quindi, invitato la Chiesa italiana a saper leggere i segni dei tempo e l’ha esortata a «parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi [… e a] elaborare strumenti nuovi».

Infine, per quanto riguarda il terzo punto – catechesi e comunità -, il Pontefice richiamando l’isolamento e il senso di solitudine causati dalla pandemia ha sentito la necessità di porre al centro la dimensione comunitaria: «La catechesi e l’annuncio non possono che porre al centro questa dimensione comunitaria. Non è il momento per strategie elitarie. La grande comunità – ha proseguito a braccio – è il santo popolo fedele di Dio. Non si può andare avanti fuori del santo popolo fedele di Dio, il quale – come dice il Concilio – è infallibile in credendo. Sempre con il santo popolo di Dio. Invece, cercare appartenenze elitarie ti allontana dal popolo di Dio, forse con formule sofisticate, ma tu perdi quell’appartenenza alla Chiesa che è il santo popolo fedele di Dio». Il tempo che stiamo vivendo ci dice che dobbiamo essere «comunità aperte […] missionarie, libere e disinteressate, […] che guardino negli occhi i giovani delusi, che accolgano i forestieri e diano speranza agli sfiduciati. […] comunità che, come il Buon Samaritano, sappiano farsi prossime a chi è ferito dalla vita, per fasciarne le piaghe con compassione». E qui, andando fuori testo ha richiamato come «nel Vangelo, di Gesù si dice: “Ed ebbe compassione”, “ne ebbe compassione”». Si tratta, come ricorda Francesco, di uno stile che già ha affrontato nel 2015 al Convegno ecclesiale di Firenze.

Avviandosi alla conclusione il Pontefice – a braccio – lancia una provocazione-invito: «Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convengo di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare».

L’incontro è stato anche occasione per il Papa di consegnare un chirografo indirizzato a tutti i catechisti.

Di seguito il testo:

«Cari catechisti, vi chiedo di non perdere entusiasmo. Come gli artigiani, anche voi siete chiamati a plasmare l’annuncio con creatività. Non cedete allo scoraggiamento e allo sconforto. Puntate sempre in alto, sostenuti dalla misericordia del Padre. Il Papa v’incoraggia e vi sostiene».

fra Luigi Bertié
direttore Ufficio Catechistico Diocesano