Le dinamiche in atto nell’annuncio ecclesiale
Annuncio come narrazione
Il contenuto dell’annuncio ha come oggetto il racconto della storia della salvezza e in particolare della storia di Gesù. Tale storia viene raccontata non come qualcosa di lontano e ormai concluso, ma come successione di eventi aperti, attuali, che attendono altri protagonisti (cfr. Nota 2,32). Abilitare i nostri catechisti alla capacità di narrare il Vangelo del Signore potrebbe rivelarsi una risorsa utilissima. Riqualificare le nostre parrocchie luoghi dove si va ad ascoltare e partecipare a delle storie straordinarie – in cui si racconta del Signore, ma anche di me (ricordate la donna Samaritana “Mi ha detto tutto quello che ho fatto… che sia Lui il Messia?” – sarebbe una ulteriore operazione cui mettere mano quanto prima.
L’Ufficio Catechistico Nazionale nel percorso-tipo offerto alle chiese diocesane suggerisce addirittura la sistemazione della sala del catechismo con una specie di ambone da cui venga proclamata solennemente la Parola-racconto da narrare. L’anno liturgico risulta poi di fatto il contesto più opportuno per compiere questo annuncio narrativo e coinvolgente.
Annuncio come celebrazione
Il modo migliore per arrivare all’incontro vivo con Cristo e con la Chiesa, è quello di far assumere al momento dell’annuncio una certa qual configurazione di “liturgia della parola” (cfr. Nota 2,33). Il RICA sottolinea come “opportuna” quella catechesi che sia “disposta per gradi e presentata integralmente, adattata all’anno liturgico e fondata sulle celebrazioni della parola”. Essa raggiunge due obiettivi: “porta i catecumeni non solo a una conveniente conoscenza dei dogmi e dei precetti, ma anche all’intima conoscenza del mistero della salvezza” (RICA, 19, 1).
In questo modo il momento dell’annuncio segue una dinamica propria della Chiesa antica, quella della “traditio-redditio”.
Annuncio come traditio/redditio
Queste due parole latine hanno la radice nella stessa vita di Gesù: traditio e redditio, ossia consegna e restituzione, dono e risposta. Se è vero che tutto parte dal mistero trinitario di Dio, tanto che nel Vangelo si legge: «Dio ha tanto amato il mondo da dare ad esso (tradere) il suo Figlio per salvare il mondo» (Gv 3, 16), ne viene che è Cristo la «consegna» (traditio) al mondo della cosa più grande che il Padre ha a disposizione, il Figlio, per salvare il mondo. E quando Cristo muore sulla croce sintetizza la sua vita con «Padre nelle tue mani consegno la mia vita» (Gv 19,30). Gesù allora è non è solo la consegna di Dio al mondo, ma è insieme la restituzione, la risposta più fedele che l’uomo, in Gesù, fa a Dio. Egli è la traditio-redditio fatta persona.
Il cristiano è colui che nella chiesa riceve da Dio la fede (ecco la traditio), e vi risponde con una vita di fede (redditio). Questa è la logica della fede e quindi della catechesi: un dono e una risposta. Questa struttura la ritroviamo ancora nella celebrazione della Messa domenicale (ad esempio nell’alternanza tra Parola e risposta di fede nel Credo).
Per questo motivo, di già teologico e spirituale, un processo corretto di catechesi non può mai essere ridotto ad un senso solo, nel tradizionale e ormai superato schema emittente (catechista) – ricevente (fanciullo); ma ha bisogno di prevedere anche tutta una serie di risposte-restituzioni, sia ritualizzate, sia esistenziali.
«Lex orandi, lex credendi»
Questa breve esposizione del secondo tempo – il catecumenato – dell’iniziazione cristiana per i fanciulli non battezzati mira a farci prendere familiarità con il modo di agire della Chiesa, modalità che deve ritornare ad influenzare il metodo della nostra catechesi ordinaria.
Primato della narrazione, che mira a far diventare attore il catechizzando; alternanza di rito e parola, di ascolto e azione, di consegna e restituzione: una struttura che travalica di molto la semplice “lezione di catechismo”, che spesso ci ritroviamo a preparare per i fanciulli, e che conserva in sé una sapienza ecclesiale antica: la sapienza del Vangelo.
don Sinuhe Marotta