Le dinamiche in atto nell’accoglienza ecclesiale
Un esempio: il Rito di ammissione al catecumenato per fanciulli nell’età del Catechismo
L’analisi dei riti legati al catecumenato evidenzia come vengano messe in atto delle dinamiche molto interessanti, che presiedono all’accoglienza ecclesiale, in un equilibrio complesso, ma ammirevole ed estremamente istruttivo. Ripercorriamone lo svolgimento, provando ad immaginare come l’accoglienza alla catechesi in parrocchia ne possa venire interpellata e illuminata.
Dialogo (domanda-risposta) / ascolto
Una prima dinamica all’opera in questo rito la troviamo al livello della comunicazione verbale. Si parte dal dialogo con i fanciulli (e non dal discorso del catechista o del parroco!) e più precisamente dall’attivazione ed esplorazione del loro desiderio: “che cosa desideri?”, chiede il celebrante come prima cosa al fanciullo da accogliere (RICA 318).
Il desiderio viene progressivamente educato all’ascolto della Parola, che segue nella struttura del rito, portando quindi all’obbedienza, atteggiamento fondamentale nella dimensione religiosa e che, come è noto, indica proprio una particolare capacità di ascolto: ob – audire l’etimo del termine.
Viene richiesto ai fanciulli anche una forma particolare di ascolto quale il silenzio. Si sfocia poi in quel dialogo particolare tra il proprio desiderio e Colui che solo può soddisfarlo pienamente che si chiama preghiera (RICA 329).
Viene richiesto ai fanciulli anche una forma particolare di ascolto quale il silenzio. Si sfocia poi in quel dialogo particolare tra il proprio desiderio e Colui che solo può soddisfarlo pienamente che si chiama preghiera (RICA 329).
Parola / corpo
Una seconda dinamica all’opera è costituita dalla alternanza della parola e del corpo del candidato, dinamica manifestata dal susseguirsi del dialogo iniziale di cui si è appena parlato, seguito immediatamente dalla segnazione sul corpo e sui sensi da parte del celebrante, dei genitori e dei catechisti. La fronte, gli orecchi, gli occhi, la bocca, il petto, le spalle, infine il dover camminare per l’ingresso in chiesa: tutto il corpo – e in particolare i sensi – sono toccati, in senso letterale, dal processo di accoglienza messo in atto dalla Chiesa.
Poi ancora la parola è attivata, nell’ascolto della Parola di Dio che è proposto nella breve liturgia, alla quale segue la consegna di un oggetto, il Vangelo, quindi ancora coinvolgendo il corpo con il tatto e la prensione, un oggetto che è anche una Parola: i Vangeli. Chi è accolto si allontana dalla Chiesa portando con sé non solo il ricordo, ma anche una cosa che gli servirà sui tempi medi e lunghi per la sua crescita personale.
Soggetto / contesto
Sul piano relazionale troviamo anche qui una interessante alternanza tra coinvolgimento del soggetto interessato e il contesto di adulti nel quale è inserito: i genitori, i garanti, il gruppo dei pari, la comunità. In questo modo, nei dialoghi sono prima coinvolti i fanciulli, i quali sono poi inviati ai genitori per chiedere formalmente il consenso, che è richiesto loro nuovamente e pubblicamente dal celebrante. Nei gesti, infine, egualmente i fanciulli sono segnati prima dal celebrante; quindi anche i genitori e catechisti vengono richiesti di segnare colui che è accolto.
Fuori / dentro
Un’ultima dinamica che reperiamo nella struttura del Rito di ammissione concerne la dimensione spaziale che viene abitata nei vari momenti del Rito stesso. Questa conserva evidentemente una valenza simbolica, nel gioco rituale tra dentro e fuori l’ambiente chiesa, che richiama l’essere accolti e introdotti ma non ancora pienamente inseriti, realizzando una gradualità nell’accoglienza. Il rito inizia all’esterno della Chiesa, nella quale si entrerà processionalmente, in maniera ritualizzata. Il potere delle chiavi, del legare e sciogliere dato alla Chiesa, trova qui una delle sue espressioni più semplici ed interessanti.
L’accoglienza, infatti, non comporta necessariamente un inserimento immediato – in termini antropologici potremmo dire indifferenziato – senza tappe intermedie. Accoglienza significa anche lasciare qualche istante sulla porta chi è accolto, invitare all’interno e non semplicemente togliere le porte e lasciar entrare/uscire a piacimento. Una casa senza “porte” non è più una casa ma un posto di passaggio, un luogo pubblico oppure un “non-luogo” come oggi si usa dire. La casa – Chiesa propone dapprima il legare, cioè trattenere sulla porta, far attendere, in altri termini presentando una propria identità precisa (vagliando le motivazioni del richiedente e presentando il proprio volto). Soltanto successivamente si da spazio allo sciogliere, cioè al far entrare, accogliere, integrare.
In altri termini, per accogliere è necessario non solo aprire le porte, ma anche avanzare delle richieste, alzare delle piccole soglie o prove da superare, offrire dei tempi di attesa per poi essere chiamati, invitati, inseriti. Anche in altri contesti, come ad esempio nel linguaggio amoroso, noi troviamo dinamiche simili di nascondimento e di incontro, di sottrazione e poi di consegna di sé (cfr. il Cantico dei Cantici).
don Sinuhe Marotta